ROCURONIUM VECURONIUM SUGAMMADEX

Una triade vincente in sala operatoria

Ezio Vincenti - Dipartimento Chirurgico di Dolo (Venezia), Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Trieste

45

ISBN 978-88-7556-614-2

Formato 16.7 x 24

Pagine 96 + 4

Anno di pubblicazione 2010

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Presentazione

L’introduzione sul mercarco di sugammadex, antidoto ad hoc dei paralizzanti aminosteroidei come rocuronium e vecuronium, apre una nuova epoca, non solo nel campo della decurarizzazione, ma anche e soprattutto in quello, generale, della tossicologia. Questo libro intende essere una messa a punto tra rivisitazione e innovazione della curarizzazione e della decurarizzazione nell’ambito della triade rocuronium, vecuronium e sugammadex, all’interno della quale, in posizione centrale, si situa la figura straordinaria di sugammadex.

Era il 1942 quando, a Montreal, la dottoressa Johnson, iniettò per la prima volta in un essere umano, a scopo anestesiologico, il curaro, temuto veleno degli indios dell’Amazzonia. A dire il vero, trent’anni prima ci aveva già pensato Arthur Läwen, chirurgo di Lipsia, a impiegare una preparazione di curaro in un paziente sottoposto ad anestesia eterea e ad anestesia extradurale alta, ma quell’episodio era rimasto totalmente isolato e fu ben presto dimenticato. Se il Canada tenne a battesimo un evento che avrebbe cambiato la storia dell’anestesia, fu però la scuola di Liverpool, con Cecil Gray, a dettare le regole per un uso corretto della curarizzazione e a introdurre l’impiego della neostigmina per invertire il blocco neuromuscolare a chirurgia ultimata.

Certamente in oltre mezzo secolo si sono inseriti svariati farmaci, dalla succinilcolina e gallamina, agli aminosteroidi, il cui capostipite, il pancuronium, ha rappresentato una tappa importante nell’evoluzione della moderna anestesia. Non meno deflagrante l’atracurium, benzilisochinolico in grado di autodistruggersi. Per il resto, innovazioni interessanti, ma non pietre miliari.

Sugammadex, sostanza ideata quasi per caso da Bom, ha rilanciato l’interesse per la curarizzazione portando a una revisione dei protocolli relativi proprio partendo dalla fine, ossia dalla decurarizzazione, da sempre l’anello debole della catena.

Bom, agli inizi del nuovo millennio, stava cercando il modo per solubilizzare più convenientemente il rocuronium. Pensò di testare anche delle ciclodestrine, che si erano mostrate ottimi veicoli per molti principi attivi ma, per sua e nostra fortuna, la ciclodestrina abbinata al rocuronium ne inibì l’azione, invece di agevolarla. Egli fu così abile da rendersi conto che era successo qualcosa di assolutamente straordinario: il veicolo ricercato era in realtà un forte antidoto. Lavorando alacremente e sintetizzando una quarantina di analoghi della gamma-ciclodestrina base, arrivò alla fine a identificare nel composto 14, denominato successivamente Org 25969, il derivato ideale per l’azione antidotica specifica: era nato sugammadex, l’incapsulatore che non perdona l’aminosteroide, ma che, al tempo stesso, ne esalta indirettamente le proprietà.

Questo gruppo unitario, costituito dai tre elementi rocuronium, vecuronium e sugammadex, sta rinvigorendo l’interesse per la miorisoluzione e offrendo nuovi spunti per migliorare ulteriormente l’efficacia, l’efficienza e la sicurezza in sala operatoria.

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