LETTERATURA INTERNAZIONALE

Il trattamento chirurgico del piede reumatico

Roberto VIGANÒ1, Silvia Elena DE MARTINIS2, Giacomo PLACELLA3

1 Già Direttore UOC Chirurgia Patologie Reumatiche
ASST Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini – CTO, Milano
2 ASST Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini – CTO, Milano
3 IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

Autore di riferimento:
Giacomo Placella
Mail: g.placella@docenti.unisr.it

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Introduzione

L’interessamento di piede e caviglia nell’Artrite Reumatoide (AR) si riscontra in circa il 20% dei pazienti: tra questi quasi il 90% dei casi ha alterazioni morfologiche in questi distretti anatomici. Nel 16% il piede può rappresentare la prima localizzazione della malattia (1)

Nonostante l’introduzione di nuove terapie farmacologiche abbia decisamente ridotto il numero di pazienti con gravi compromissioni anatomiche, ed abbiano diminuito la necessità di ospedalizzazione dei pazienti affetti da AR, le problematiche a carico dell’arto inferiore in generale e del piede in particolare sono rimaste sostanzialmente invariate e frequentemente con necessità di trattamento chirurgico (1).

I sintomi più generalmente riscontrati nei pazienti reumatologici, oltre alla tipica metatarsalgia, sono caratterizzati dall’estrema variabilità dei quadri clinici con combinazioni variabili tra un paziente e l’altro se non, addirittura, tra un piede e l’altro nello stesso paziente.

Un aspetto peculiare dell’AR è la difficoltà di prevederne l’evoluzione nel tempo: spesso le articolazioni colpite precocemente possono poi non manifestare alterazioni morfologiche e patologiche, a volte invece la progressione può essere talmente rapida da causare grave disabilità in poco tempo.

L’avampiede è sicuramente la regione anatomica più coinvolta: l’alluce valgo può essere osservato in circa il 90% dei casi, associato a deformità dei raggi laterali sia a livello delle articolazioni inter-falangea prossimale (dita a martello).

Spesso il primo segno della localizzazione della malattia nel piede è rappresentato dall’erosione della testa del quinto osso metatarsale. (Figura 1)

Figura 1 Progressione della AR con grave deformità in un quadro di “avampiede triangolare reumatoide”. Nello stadio finale vi è un completo sovvertimento delle strutture coinvolte con perdita dei rapporti articolari

Le alterazioni del mesopiede sono di carattere degenerativo ed erosivo e possono contribuire ad un appiattimento dell’arco plantare mediale longitudinale; esse però non si presentano quasi mai isolate ma associate a coinvolgimento del retropiede, con interessamento da parte della patologia sinovitica non solo delle strutture scheletriche ma anche dei tessuti molli. Il quadro che ne deriva nella maggior parte dei pazienti è caratterizzato da iperlassità capsulo-legamentosa con atteggiamento in valgismo e pronazione del retropiede, fino ad arrivare ai casi più gravi di piede piatto reverso. In una percentuale inferiore di pazienti invece prevale la componente erosiva delle articolazioni coinvolte fino ad arrivare ad una fusione spontanea delle stesse. La caviglia oltre ai processi degenerativi dovuti all’erosione dell’articolazione, si caratterizza nei casi più gravi con una deviazione in valgo che può arrivare fino al 15% dei pazienti affetti da AR. (Figura 2).

Figura 2 Interessamento del retropiede nella variante iperlassa con pronazione e annullamento dell’arco plantare mediale fino alla completa perdita dei rapporti articolari in un quadro di lussazione atraumatica.

Per comprendere a fondo le deformità del piede, le caratteristiche meccaniche e fisiopatologiche, bisogna avere una conoscenza approfondita della patologia, non solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello biomeccanico. Sono infatti imprescindibili, per la giusta qualificazione dei difetti articolari, gli esami di diagnostica per immagini eseguiti in carico ed in diverse proiezioni. Solo in questo modo infatti, oltre a stadiare la malattia nella maniera più corretta, si possono confrontare e comprendere le modificazioni strutturali che accadono nella quotidianità del paziente e si riescono ad attuare le strategie terapeutiche migliori per ogni caso specifico. (Figura 3)

Ogni singolo paziente necessita di interventi pianificati sulla base delle immagini radiografiche e del comportamento meccanico del suo piede: il progressivo e costante collasso dell’arco longitudinale richiede però particolare attenzione in quanto solo intervenendo tempestivamente si riduce la deformità del retro-piede e previene la perdita della abilità al passo.

Figura 3 in alto a sinistra il tipico avampiede reumatoide con grave valgismo del primo raggio, erosione della tesa del 5° Metatarsale, sublussazione metatarso-falangea del 5° raggio e deformità a martello dei raggi laterali. Da notare la netta differenza dell’avampiede tra i due lati che presentano medesime deformità ma con gradi di severità differenti.

In basso nelle due proiezioni laterali sotto carico è raffigurato il coinvolgimento del retropiede nella variante erosiva con fusione spontanea delle articolazioni. La patologia ha colpito maggiormente l’articolazione talo-navicolare nel piede di sinistra e la sottoastragalica nel piede di destra.

La correzione chirurgica dell’avampiede nella AR

Nella chirurgia dell’avampiede Le opzioni di trattamento oggi disponibili sono molte: recentemente infatti si stanno diffondendo tecniche chirurgiche correttive che consentono di preservare le articolazioni, con miglioramento degli outcome chirurgici anche nei casi più gravi. Tuttavia, nella chirurgia del piede reumatico prevale ancora l’indicazione all’artrodesi: questa consente infatti di ottenere uno stabile appoggio plantigrado del piede, una netta riduzione della sintomatologia dolorosa e, con l’allungamento del braccio di leva del 1° raggio, un oggettivo vantaggio biomeccanico.

La conservazione dell’articolazione non esclude la possibilità di una recidiva del processo sinovitico con ricadute in termini di lassità capsulo-legamentosa e/o erosione dei capi articolari. La maggior parte delle tecniche “classiche” di correzione delle deformazioni dell’avampiede, sono da ritenere controindicate in quanto il vantaggio, riferibile alla conservazione dell’articolazione, nell’AR diventa un potenziale rischio di recidiva.

Tra le tecniche descritte per il piede reumatico c’è la artroplastica secondo Keller (resezione ed asportazione della base della falange prossimale dell’alluce) che permetteva di decomprimere la articolazione metatarso-falangea, con risultati in termini di riduzione del dolore e di miglioramento funzionale nel breve termine. Purtroppo questo tipo di intervento, preservando parte dell’articolazione presentava un alto tasso di recidiva entro 5 anni dall’intervento stesso, oltre a comportare modificazioni biomeccaniche scarsamente tollerate dal paziente: attualmente non è più raccomandabile. (1)

Per i casi di alluce valgo di grado moderato-severo con erosione delle superfici articolari e sublussazione delle teste metatarsali la procedura di correzione con l’artrodesi della prima metatarso-falangea, resezione delle teste metatarsali e riallineamento dei raggi laterali (tecnica di Hoffman) rimane l‘indicazione migliore. (2). Tale procedura consente infatti una riduzione del dolore la correzione delle deformazioni, l’arresto della patologia di base nella maggior parte dei casi con buoni risultati clinici (3).

Tra gli aspetti più importanti di questa procedura sicuramente c’è il ripristino del punto di appoggio dell’alluce, questo aspetto è fondamentale per permettere un adeguato cammino in quanto il fulcro del carico all’avampiede corrisponde al primo spazio intermetatarsale.

Tra i benefici non attesi ma desiderabili ic’è anche una migliore apparenza cosmetica che, pur apparentemente marginale, rappresenta spesso per i pazienti reumatici un reale positivo apporto nella vita di relazione. (Figura 5)

Figura 4 a sinistra rx postoperatoria di un avampiede reumatico corretto secondo la tecnica sopra descritta, a destra la differenza clinica tra il piede corretto (sinistro) e non (destro).

Figura 5 rx postoperatoria di artrodesi di retropiede con differenti devices. A destra pregressa correzione di avampiede triangolare secondo la tecnica descritta.

Tra il 2013 ed il 2017 sono stati eseguiti 206 interventi di correzione di avampiede reumatoide, in 167 pazienti (179 donne e 27 uomini). In 39 casi l’intervento è stato bilaterale. In tutti i casi è stata effettuata un’artrodesi della prima metatarso falangea, resezione delle teste metatarsali e riallineamento dei raggi laterali.

Di questi 153 pazienti hanno completato lo studio con un follow up medio di 3,1 anni (range 1 – 5), e complessivamente hanno riportato buoni risultati funzionali e soggettivi, definendosi “molto soddisfatti” nella quasi totalità dei casi (92%). La complicanza maggiore è stata la difficoltà di guarigione delle ferite chirurgiche (evento non raro nei pazienti reumatici a causa sia della malattia che delle terapie assunte che ne determinano una fragilità cutanea), seguita dalla sofferenza ischemica delle dita laterali, tanto più frequente quando maggiore era la deformità da correggere. La pseudoartrosi della prima metatarso falangea, si è osservata in 13 pazienti (7%), peraltro 11 dei quali asintomatici.

Si ribadisce il concetto che, ad oggi, le alternative chirurgiche per la correzione delle deformità dell’avampiede sono sempre più orientate verso la preservazione articolare (osteotomie correttive) o comunque la preservazione del movimento (protesi di alluce); tali tecniche sono tuttavia sconsigliate per il trattamento del piede reumatico. Va ricordato infatti che l’artrite reumatoide è una patologia articolare globale, caratterizzate non solo dalle deformità articolari e dall’erosione cartilaginea, ma anche da una progressiva erosione dell’osso meta-epifisario e dei tessuti molli adiacenti, a causa della proliferazione sinoviale. (4)

L’artrodesi, sebbene in contrasto con l’attuale tendenza conservativa, si è dimostrata assolutamente risolutiva ed ampiamente accettata dai pazienti come si evince dalla più recente letteratura. (5-6)

La correzione del retropiede e della caviglia

Le articolazioni più colpite in questo distretto sono la sotto-astragalica e la astragalo-scafoidea, in minor misura la calcaneo cuboidea. Le ampie erosioni precedentemente descritte, la scarsa qualità dell’osso, e le modifiche anatomiche del retropiede obbligano quasi in questo distretto ad eseguire interventi che assicurino una buona stabilità: ancora una volta l’artrodesi è l’opzione più utilizzata per assicurare al paziente una buona ripresa della deambulazione stabile e senza dolore. (7)

I mezzi di sintesi utilizzati possono essere diversi, viti per la sotto-astragalica e astragalo-scafoidea oppure, per le piccole ossa del tarso, possono essere utilizzate anche delle cambre (Figura 6). In caso di osso con ridotta resistenza meccanica è da ritenere più utile e sicura la tecnica di fissazione con fili di Kirschner percutanei.

Figura 6 Protesi di caviglia di terza generazione eseguita per via anteriore

In caso di interessamento della tibio-tarsica le opzioni chirurgiche sono: l’artrodesi di caviglia (utilizzando per la fissazione viti o chiodo endo-midollare), eventualmente associata ad artrodesi del retropiede se coinvolto, oppure l’impianto protesico.

La seconda opzione (grazie agli importanti miglioramenti ottenuti negli ultimi anni sia in fase di tecnica sia per qualità degli impianti che hanno reso molto più affidabili le protesi di caviglia) è una valida opzione in quanto consente di ridurre drasticamente il dolore e conservando o recuperando una sufficiente pur mobilità articolare (Figura 5)

Questo fattore è di particolare importanza nei pazienti reumatici poiché un movimento conservato di tibio-tarsica permette di ridurre gli stress (e quindi la degenerazione) rispetto a quanto avviene dopo l’intervento di artrodesi.

Va ricordato infatti che il coinvolgimento di caviglia e piede può essere bilaterale e il paziente può avere già protesizzato le articolazioni sovra-segmentarie (ginocchio e anca) e in quest’ottica sicuramente la conservazione del movimento migliora la biomeccanica dell’arto inferiore (8, 9).

I recenti ottimi risultati ottenuti con le protesi di caviglia dipendono anche da uno specifico e condiviso protocollo riabilitativo, in particolare in pazienti affetti da forme di AR poli-articolare.

Conclusioni

Il trattamento delle deformazioni del piede e della caviglia rappresenta un importante capitolo nella chirurgia delle patologie reumatiche in generale e dell’artrite reumatoide in particolare, in ragione dell’elevata incidenza della patologia in questi distretti anatomici e della necessità di restituire la funzione del cammino ai pazienti.

L’approccio chirurgico deve necessariamente seguire criteri specifici strategici e tecnici, in relazione alla tipologia ed alla combinazione delle deformazioni possibili.

Bibliografia

  1. Coughlin, M. J. (2000). Rheumatoid forefoot reconstruction. A long-term follow-up study. JBJS82(3), 322-41.
  2. Coughlin, M. J., Grebing, B. R., & Jones, C. P. (2005). Arthrodesis of the first metatarsophalangeal joint for idiopathic hallux valgus: intermediate results. Foot & ankle international26(10), 783-792.
  3. Kathie J. Whitt, DPM, MHA1, Sarah A. Rincker. Sustainability of Forefoot Reconstruction for the Rheumatoid Foot. The Journal of Foot & Ankle Surgery 55 (2016) 583–585
  4. Louwerens, J. W. K., & Schrier, J. C. (2013). Rheumatoid forefoot deformity: pathophysiology, evaluation and operative treatment options. International orthopaedics37(9), 1719-1729.
  5. Coughlin, M. J. (2000). Rheumatoid forefoot reconstruction. A long-term follow-up study. JBJS82(3), 322-41.
  6. He, Y., Shan, F., Fan, C., Zeng, X., Yang, G., & Tang, B. (2021). Effectiveness of the first metatarsophalangeal joint arthrodesis versus arthroplasty for rheumatoid forefoot deformity: a systematic review and meta-analysis of comparative studies. The Journal of Foot and Ankle Surgery.
  7. Ortega-Avila, A. B., Moreno-Velasco, A., Cervera-Garvi, P., Martinez-Rico, M., Chicharro-Luna, E., & Gijon-Noqueron, G. (2020). Surgical Treatment for the Ankle and Foot in Patients with Rheumatoid Arthritis: A Systematic Review. Journal of clinical medicine9(1), 42.
  8. Curlewis, K., Leung, B., Sinclair, L., Chan, G., Bendall, S., & Ricketts, D. (2021). Systemic Medical Complications Following Total Ankle Arthroplasty: A Review of the Evidence. Foot and Ankle Surgery.
  9. Consul, D. W., Chu, A., Langan, T. M., Hyer, C. F., & Berlet, G. (2021). Total Ankle Arthroplasty Survivorship, Complication, and Revision Rates in Patients Younger Than 55 Years. Foot & Ankle Specialist, 1938640020980925.

 

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