La Disfagia

Le consistenze modificate nell’alimentazione del paziente disfagico: verso una classificazione operativa

Lia RUSCA1, Daniela CUM2, Marianna GUARCELLO3, Francesca MONTEFERRARIO2, Monica PANELLA1
SC Medicina Riabilitativa ASL BI Biella
SC SIAN e Dietologia, ASL BI Biella
SSD Dietologia e Nutrizione Clinica ASL VC Vercelli

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Abstract

La disfagia, intesa come difficoltà a gestire gli atti deglutitori di sostanze liquide, semiliquide, semisolide, solide, comporta gravi conseguenze sulla salute del soggetto sia in termini di qualità che quantità della vita. La scelta di proporre consistenze modificate a seguito di una corretta valutazione clinico-funzionale deve rispettare insieme criteri di sicurezza, efficacia nutrizionale e di palatabilità, onde evitare il rifiuto del cibo e insieme essere una scelta modulabile in funzione dell’evoluzione clinica del soggetto. La classificazione delle consistenze è stata oggetto di numerosi studi e ha tra le sue prospettive un’applicazione in ambito clinico, farmaceutico e industriale.

Introduzione

La disfagia, intesa come difficoltà a gestire gli atti deglutitori di sostanze liquide, semiliquide, semisolide, solide, coinvolge sia la competenza motoria e il controllo neurologico delle strutture deputate, sia l’esperienza sensoriale gustativa che si genera con l’introduzione del cibo in bocca. All’esperienza senso- motoria si affianca ovviamente il ruolo nutrizionale dell’atto deglutitorio come parametro imprescindibile, in un unicum che deve garantire efficacia, efficienza e sicurezza per evitare rischi alla salute del soggetto.

La perdita di controllo di labbra, lingua, guance, la presenza o meno dei denti, la povera preparazione del bolo, il ritardo di innesco deglutitorio, l’incoordinazione della fase faringea sono alcune situazioni che portano alla scelta di utilizzare sostanze a consistenza modificata, in particolare a liquidi addensati e a cibi a consistenza omogenea, per prevenire il rischio di aspirazione. È però altrettanto vero che liquidi eccessivamente addensati possono richiedere una maggiore forza della lingua e dei muscoli faringei durante la deglutizione (1). Il rischio di aspirazione aumenta con il disturbo cognitivo, con le difficoltà digestione della fase orale e con la disabilità intellettiva. Anche l’edentulia parziale o completa è stata riportata come fattore favorente l’asfissia da cibo (2)

La disfagia può causare ridotti introiti nutrizionali, perdita di peso, malnutrizione e disidratazione. Sono ben noti la tosse e l’aspirazione durante il momento alimentare o l’abbeveramento. Queste condizioni possono portare a polmoniti ab ingestis e broncopneumopatie che condizionano a loro volta maggiori tempi di ospedalizzazione, debolezza, malessere, ansia e spesso anche una minore sopravvivenza (3).

Alcuni Autori sintetizzano gli elementi chiave dei fattori che condizionano la malnutrizione nel soggetto anziano disfagico (4), riportati della figura 1.

Le consistenze modificate nell’alimentazione del paziente disfagico: verso una classificazione operativa

Figura 1 Tratta da Claudia Côté Amélie Giroux , Annie Villeneuve-Rhéaume, Cynthia Gagnon, Isabelle Germain Is IDDSI an Evidence-Based Framework? A Relevant Question for the Frail Older Population

 

Rischio di malnutrizione nel paziente disfagico

Nella scelta della consistenza modificata a fianco del criterio di sicurezza di gestione del bolo va considerato il rischio frequente di alterazioni dello stato nutrizionale causate dalla riduzione di ingesta. Il controllo periodico dello stato nutrizionale permette di prevenire e/o minimizzare l’instaurarsi della malnutrizione che, come è ormai ampiamente riconosciuto, rappresenta un fattore prognostico negativo (5). I soggetti malnutriti presentano una maggiore mortalità, una più elevata incidenza di complicanze, degenze prolungate ed una peggior qualità di vita. Dal momento che tutti i pazienti disfagici sono a rischio malnutrizione, occorre che uno screening dello stato nutrizionale sia inserito nei protocolli di valutazione clinica durante le prime valutazioni funzionali della deglutizione (6). La valutazione dello stato nutrizionale può basarsi su un livello iniziale di screening a cui seguono, quando indicato, approfondimenti valutativi specialistici. L’obiettivo è di diagnosticare precocemente le alterazioni nutrizionali e quindi prevenire il progredire della malnutrizione verso livelli di maggiore gravità. La valutazione dello stato di nutrizione è preliminare ad ogni tipo di impostazione di intervento nutrizionale. Vanno considerate le valutazioni dei fabbisogni calorico-proteici, la scelta della via di nutrizione e l’impostazione di programmi di monitoraggio.

La nutrizione per via orale, quando possibile e sicura, rappresenta sempre la prima scelta. Tale via di nutrizione per il paziente disfagico da una parte rappresenta un fattore positivo (importante aspetto della cura di sé, considerevole impatto sulla propria autostima e sulla considerazione del proprio stato di malattia), dall’altra può rappresentare una fonte d’ansia (paura di soffocare, paura di far rilevare la propria anomalia mangiando in pubblico). Questi fattori vanno tenuti presenti nel momento in cui si prende in carico il paziente, aiutandolo per quanto possibile ad imparare a convivere con le difficoltà deglutitorie. La gestione dietetica per os del paziente disfagico deve garantire il mantenimento di una nutrizione adeguata ai fabbisogni energetici, proteici, idrici, di sali minerali e di vitamine in situazione di sicurezza cioè prevenendo il passaggio di alimenti solidi e/o liquidi nelle vie aeree. I fabbisogni di macro e micronutrienti nel paziente affetto da disfagia sono del tutto simili a quelle presentate da un individuo della stessa età e dello stesso sesso (7).

Il trattamento dietetico della disfagia basato sull’utilizzo di liquidi addensati e alimenti a consistenza modificata impone una gestione complessa, gestita da personale qualificato e monitorata attentamente (8).

Il paziente affetto da disfagia tende a ridurre la sua alimentazione in maniera graduale in seguito al progressivo aggravarsi delle condizioni funzionali e ai disagi soggettivi conseguenti alla necessità di alimentarsi con cibi a consistenza modificata e/o all’incremento del tempo e della fatica necessari per consumare il pasto. Ecco che la terapia dietetica del paziente affetto da disfagia, nel tentativo di prevenire la malnutrizione e la disidratazione può diventarne essa stessa la causa. Infatti la dieta a consistenza modificata può non essere adeguata dal punto di vista nutrizionale a causa della diluizione, o di eccessivi volumi con esclusione di alcuni alimenti (9).

Come noto, qualora la sola alimentazione orale a consistenza modificata non sia sufficiente a coprire i fabbisogni energetici-proteici del paziente si può associare l’uso di integratori alimentari (che devono rispettare le stesse scelte di consistenza modificata emerse dalla valutazione clinico-funzionale) o la nutrizione artificiale. Poiché le necessità del paziente disfagico variano largamente ed il grado di disfagia può modificarsi nel tempo risulta necessario un attento monitoraggio per adeguare tempestivamente la terapia nutrizionale ai fabbisogni e alle variazioni di consistenza modificate (10).

Razionale della necessità classificativa delle consistenze modificate

Per il paziente disfagico quindi diventa cruciale l’indicazione a cibi a consistenza modificata e a liquidi addensati con l’obiettivo di rendere più efficace e sicuro l’atto deglutitorio. La scelta della corretta consistenza da proporre al paziente disfagico deve considerare anche dei possibili rischi: ad esempio è stato riportato come il liquido addensato possa ridurre il rischio di penetrazione-aspirazione ma possa anche aumentare un rischio di residuo post-degutitorio in faringe (11). Nonostante la modifica delle consistenze sia una delle tecniche compensative più comuni e indicate, la definizione stessa di cibi a consistenza modificata è differente nei diversi Paesi del mondo (12). Ne consegue che la scelta della corretta consistenza debba essere definita su parametri omogenei e la classificazione delle consistenze stesse debba essere validata, condivisa e tradotta nelle varie lingue in modo univoco. È opinione condivisa da tutti gli Autori che una classificazione univoca e validata consentirà a tutti gli attori (dagli operatori sanitari al personale di assistenza) di uniformare le definizioni e i comportamenti oltre a consentire anche una migliore conoscenza sulle proprietà intrinseche dei cibi stessi (consistenza, capacità nutritiva, proprietà sensoriali).

Insieme all’efficacia e alla sicurezza è necessario che i cibi a consistenza modificata mantengano adeguate proprietà nutrizionali e anche una buona appetibilità. In alcune fasce di popolazione come nel paziente anziano disfagico che richiede cibi speciali, non solo morbidi, facili e sicuri da deglutire, assumono una grande importanza sia l’apporto nutritivo sia l’appetibilità, perché è vitale che non giunga al rifiuto del cibo e che possa soddisfare i bisogni nutrizionali.

Un’ulteriore ricaduta positiva di una classificazione validata e omogenea che si basi sulle linee guida per i pazienti disfagici, può essere identificata nella produzione industriale dei cibi a consistenza modificata, con un possibile maggior utilizzo dei robot da cucina con programmi adattati per giungere a prodotti convenienti (1)

Lo storico degli studi classificativi

Citando gli aspetti storici che si sono susseguiti nell’ultimo trentennio in riferimento al cambio delle consistenze, è opportuno osservare come il tentativo perpetuato sia stato quello di trovare nel cambio della texture il miglioramento dello stato di salute della persona. Gli studi hanno però dimostrato ampliamente che l’arte del modificare la consistenza, per quanto accurato, non sempre risulta essere la soluzione al problema.

Il razionale che nasce dal modificare le consistenze è basato su un criterio di facilitazione della preparazione orale e del transito in fase faringea del bolo. L’alimento viene scelto in base all’insieme delle peculiarità fisiche da cui è composto, percepite attraverso l’orofaringe estrapolandone l’influenza creata da recettori gustativi, olfattivi, termici e dolorifici.

L’integrazione del lavoro tra medico specialista esperto in deglutizione e logopedista (responsabili delle indicazioni sulle caratteristiche reologiche dei cibi da assumere) e nutrizionista e dietista (responsabili del bilancio e del fabbisogno nutrizionale e idrico) sancisce i criteri dietetici di consistenza distinguendo da un punto di vista fisico liquidi senza scorie, con scorie, semi-liquidi, semi-solidi, solidi. (13)

Questa suddivisione è stata centro di riflessioni e ricerche di chiarimenti nonché di una comune terminologia ricercata a livello nazionale (Commissione Nazionale del Gruppo Italiano Studio Disfagia -GISD) e internazionale. La terminologia standardizzata ha seguito due ragioni fondamentali: 1. La maggior sicurezza del paziente e 2. L’evoluzione delle conoscenze in campo deglutologico che porti con se i migliori risultati terapeutici.

Lo stato dell’arte delle classificazioni

Le classificazioni, riportate a seguito, sono il tentativo di instaurare un linguaggio comune dove le caratteristiche riguardanti sia il mondo dell’alimento semi-solido che di quello liquido hanno cercato definizioni che li rendessero riproducibili, condivisibili e ripetibili. (tabella I e tabella II) (14)

 

Tabella I Modello di progressione delle diete utilizzate per la disfagia (adattato da Penman e Thomson, 2015)

Classificazione alimentare
Purea liquida/sottile Consistenza omogenea che non mantiene la forma dopo il servizio
Purea densa/morbida e liscia Consistenza addensata, omogenea che mantiene la forma dopo il servizio e non si separa in componente liquida e solida durante la deglutizione, cioè coeso
Tritato finemente Dieta morbida di consistenze coese e consistenti che richiedono un po’ di masticazione (dimensione delle particelle più spesso descritte come 0,5 × 0,5 cm)
Normale modificato Alimenti normali di varia consistenza che richiedono la masticazione, evitando cibi particolati che rappresentano un rischio di soffocamento (dimensione delle particelle più spesso descritte come 1,5 × 1,5 cm)

Tabella II. Temi di classificazione dei liquidi addensati basati sulla revisione di Penman e Thomson delle diete per disfagia (adattato)

Nome e livello fluidi Descrizione dello spessore del fluido
Livello 1: nettare Come il nettare
Livello 2: tesoro Come miele
Livello 3: budino Come il budino
Sottile Acqua e tutti i succhi più sottili dell’ananas
Spesso Tutti gli altri liquidi compreso il latte e tutti i succhi non classificati come magri
Addensato Liquidi addensati con amido fino a ottenere una purea
acquoso Acqua, tè, caffè
Lattiginoso Latte e la maggior parte dei succhi di frutta
Panna liquida Garantire Plus ed Enterat
Doppia crema Succo di pomodoro, purea di frutta diluita, vellutate
Crema pasticciera Salsa al formaggio o crema pasticcera, yogurt liscio
Semi-solido Yogurt denso, biancomangiare, purè di patate

La ricerca dell’ultimo ventennio, arricchitasi di collaborazioni tra il mondo medico e ingegneristico ha cercato misurazioni obiettive delle consistenze arricchendo la discussione senza giungere, per il momento, ad un linguaggio condiviso. L’osservazione basata sulla velocità di caduta dell’alimento dal cucchiaio (liquido: caduta immediata, semi-liquido: caduta rallentata, semi-solido: caduta lentissima o nulla) ha ceduto il passo al test di flusso (I15). L’International Dysphagia Diet Standardisation Initiative (IDDSI) è stata fondata nel 2013 da un gruppo di volontari internazionali di differente estrazione professionale. IDDSI è un organo indipendente no-profit. Il fine ultimo dell’iniziativa è perseguire un sistema innovativo e pratico orientato alla sicurezza del paziente, basato sull’evidenza clinica e il parere degli esperti. L’obiettivo dell’iniziativa è la standardizzazione dei cibi a consistenza modificata e dei liquidi addensati a livello internazionale. Tra gli obiettivi principali, l’iniziativa si è posta come obiettivo lo sviluppo di metodi di misurazione per determinare il livello delle consistenze di facile utilizzo, economici e facilmente accessibili allargando il target di utilizzo. Un piano di lavoro multifase è stato approvato dal comitato con l’obiettivo di portare avanti un framework tra il 2013 e il 2015 (Figura 2) (15).

Le consistenze modificate nell’alimentazione del paziente disfagico: verso una classificazione operativa

Figura 2 Il piano di lavoro multifase IDDSI. International Dysphagia Diet Standardisation Initiative (IDDSI). Complete IDDSI Framework (Detailed Definitions). 2019.

 

L’International Dysphagia Diet Standardization Initiative ha utilizzato un metodo basato sull’evidenza per lo sviluppo di linee guida per produrre una nuova terminologia e definizioni standardizzate globali per descrivere cibi a consistenza modificata e liquidi addensati utilizzati per individui con disfagia di tutte le età, in tutti i contesti assistenziali e tutte le culture. Il quadro finale è stato sviluppato con riferimento alle terminologie nazionali esistenti, ai dati empirici provenienti da molteplici consultazioni internazionali di stakeholder di persone provenienti da 57 paesi, alla revisione sistematica della letteratura di ricerca e al perfezionamento collaborativo guidato dal feedback. Il feedback sul framework è stato raccolto e analizzato da un gruppo di ricerca indipendente dall’IDDSI rafforzando ulteriormente la fiducia nel perfezionamento del framework finale. La struttura finale è composta da otto livelli (Livelli 0–7) identificati da numeri, etichette di testo e codici colore. Le etichette di testo sono state esaminate per facilitare la traduzione e i codici colore sono stati sviluppati per essere sensibili al daltonismo. I descrittori sono supportati da metodi di misurazione semplici, accessibili ma oggettivi che possono essere utilizzati da persone con disfagia e dai loro assistenti, medici, professionisti della ristorazione, ricercatori e industria per confermare il livello di attribuzione di un alimento o di un liquido. Il framework IDDSI fornisce una solida piattaforma per lo sviluppo della ricerca futura nel campo della disfagia. Il quadro IDDSI fornisce la categorizzazione dei livelli di spessore del liquido applicabili a neonati, lattanti, bambini e adulti con disfagia. La revisione sistematica dell’IDDSI ha trovato prove che confermano che l’addensamento dei liquidi riduce la probabilità di aspirazione, tuttavia, non è stato in grado di individuare viscosità specifiche che rappresentano un ispessimento minimamente efficace per ridurre l’aspirazione. La revisione, tuttavia, ha trovato prove che suggeriscono che alcuni liquidi estremamente densi possono favorire l’accumulo di residui faringei. Questa scoperta è stata ulteriormente corroborata da altri Autori (1) che hanno condotto una revisione sistematica indipendente della letteratura sull’efficacia dei liquidi addensati per la gestione della disfagia. Il riconoscimento che alcuni liquidi possono favorire il residuo essendo “troppo densi” è uno sviluppo importante per il campo della disfagia. Data la scarsità di ricerche sui livelli di spessore terapeutico per bevande addensate, il framework IDDSI si basa sulla comprensione che l’aumento dello spessore ha un beneficio terapeutico dimostrato per ridurre la probabilità di penetrazione/aspirazione. Il numero di livelli di spessore della bevanda inclusi nel framework e raccomandati per la migliore pratica si basa sulla sintesi del consenso degli stakeholder internazionali sulla pratica clinica attuale. (Figura 3) (15)

Le consistenze modificate nell’alimentazione del paziente disfagico: verso una classificazione operativa

Figura 3 IDDSI. International Dysphagia Diet Standardisation Initiative (IDDSI). Complete IDDSI Framework (Detailed Definitions).

 

La scarsità di ricerche sull’uso terapeutico della modifica della consistenza degli alimenti per la gestione della disfagia significa che le raccomandazioni nel documento IDDSI sulla consistenza degli alimenti si basano sulla comprensione che l’alterazione della modifica della consistenza degli alimenti ha dimostrato un beneficio terapeutico per la riduzione del rischio di soffocamento. Questa pratica è coerente con l’evidenza nella letteratura specifica sul rischio di soffocamento e asfissia, che rivela che le consistenze degli alimenti che presentano il rischio maggiore sono classificate in base alla consistenza, alla forma e alle dimensioni. Il quadro IDDSI promuove il rigoroso rispetto sia della dimensione delle particelle che dei requisiti di consistenza degli alimenti.

Ad oggi, la misurazione dello spessore del fluido nella maggior parte delle terminologie nazionali si è basata su metodi soggettivi (3) La quantificazione obiettiva è altamente desiderabile, ma impegnativa. L’unico standard nazionale che raccomanda la categorizzazione dei liquidi in base a intervalli di viscosità quantificati è la National Dysphagia Diet (NDD), sviluppata negli Stati Uniti nel 2002. Tuttavia, il comitato IDDSI ha ritenuto che vi fossero importanti limitazioni pratiche e scientifiche alla misurazione della viscosità legate alla mancanza di accesso alle apparecchiature di prova e l’esperienza richiesta per eseguire e interpretare le prove reologiche, alla consapevolezza che la viscosità è solo uno dei numerosi parametri rilevanti che influenzano il flusso del liquido e che la natura non newtoniana delle bevande addensate rende impossibile caratterizzarle (15)

La corretta ed appropriata consistenza del cibo non è la sola caratteristica da tenere in considerazione nella gestione del paziente disfagico, deve essere tenuto in considerazione anche il valore nutritivo e non in ultimo un’adeguata appetibilità/accettabilità.

Alla luce di ciò, se si considerano non solo i pazienti ricoverati, ma anche il numero degli anziani e le persone che vivono in contesti istituzionalizzati e, tra loro, quelli con problemi di disfagia, il ruolo principale delle industrie alimentari e farmaceutiche nello sviluppo di alimenti a consistenza modificata è essenziale.

Le aziende alimentari e farmaceutiche hanno reso disponibili diverse tipologie di prodotto disponibili sul mercato, che possono essere così sintetizzate:

– Addensanti da aggiungere a liquidi e alimenti: i principali composti utilizzati sono gli addensanti a base di gomma e quelli a base di amido. I più diffusi sono la carragenina (E407), il mais modificato (E1442), la gomma di xantano (E415), gomma di guar (E412) e gomma di tara (E417).

– Altri composti includono il calcio citrato (E333) e cloruro di potassio (E508), usati come additivi addensanti – integratori alimentari con una consistenza di budino

– Prodotti in polvere liofilizzati o disidratati pastorizzati o sterilizzati pronti da consumare o da ricostituire con la consistenza prescritta e indicata.

Attraverso la conoscenza dei complessi fattori che influenzano la matrice alimentare, degli aspetti nutritivi, delle linee guida cliniche a disposizione, delle proprietà sensoriali degli alimenti, dei criteri qualità nutrizionale e con l’ausilio delle nuove tecnologie, le industrie alimentari del settore sono a chiamate a giocare una vera e propria sfida nella gestione del paziente disfagico.

Studi di intervento per esempio hanno valutato positivamente l’utilizzo di pasti rimodellati su outcome come la variazione del peso corporeo e l’aumento dell’intake di cibo.

Il rimodellamento dei componenti degli alimenti, ad uno specifico livello di consistenza, migliora l’appeal visivo, favorendo in modo significativo l’assunzione di cibo.

Prospettive future

Infine, sebbene non ancora ampiamente studiato, l’applicazione dell’elaborazione ad alta pressione (HPP) e della stampa 3D ha evidenziato risultati promettenti. (16)

L’HPP è una tecnologia di conservazione non termica in cui gli alimenti sono sottoposti ad alte temperature e pressioni (da 100 a 900 MPa) al fine di distruggere i microrganismi patogeni e enzimi, prolungando la durata di conservazione degli alimenti. Poiché non viene applicato calore, le proprietà degli alimenti sono conservate in modo interessante. Questa pressione è in grado di modificare la consistenza. Alcuni studi hanno suggerito che l’HPP è una tecnologia utile per creare piatti adatti alle persone che soffrono di disfagia.

Sebbene le proprietà strutturali siano molto importanti quando si ha a che fare con la sicurezza,aspetti sensoriali come colore, forma, gusto e odore dovrebbero anch’ essi essere presi in considerazione. La tecnologia di stampa 3D è stata sviluppata dall’ industria con grande successo, essendo fondamentalmente un processo di unione di strati di materiali su strato. Può essere una tecnologia promettente per lo sviluppo di attraenti piatti progettati per la disfagia (figura 4). Molti prodotti alimentari sono già stati sviluppati utilizzando Stampa 3D, ma pochissimi studi sui piatti dietetici per disfagia che utilizzano questa tecnologia sono stati pubblicati finora.

Le consistenze modificate nell’alimentazione del paziente disfagico: verso una classificazione operativa

Figura 4 Schematizzazione del processo di stampa 3D del cibo – tratta da Tatiana Pereira, Sónia Barroso and Maria M. Gil .Review Food Texture Design by 3D Printing: A Review , Foods 2021, 10, 320

 

L’uso di addensanti e tecnologie non termiche in combinazione con la stampa 3D possono aiutare a sviluppare alimenti adeguati, nutritivi e sensoriali per i pazienti disfagici.

Conclusione

La grande prevalenza del disturbo disfagico nell’età adulta, coerente con l’aumento dell’età e della sopravvivenza in contesti di comorbilità complesse, quali quadri involutivi senili, disturbi neurocognitivi, patologie neurologiche in fase acuta e stabilizzata, patologie neurodegenerative, patologie oncologiche con i possibili esiti chirurgici e postattinici e altri quadri ancora di disturbi disfunzionali rendono necessaria la conoscenza dei rimedi e delle azioni possibili attraverso la scelta di alimenti a consistenza modificata. La conoscenza della classificazione delle texture consente a operatori sanitari, caregivers, industria farmaceutica e alimentare di uniformare il linguaggio delle definizioni per giungere alla prescrizione corretta e condivisa delle indicazioni cliniche. Una classificazione condivisa delle consistenze modificate diventa quindi un necessario presupposto alla disponibilità di alimenti e presidi nutrizionistici che conservino anche le corrette proprietà nutrizionali e di palatabilità.

Bibliografia

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13. I disturbi della deglutizione e la gestione del paziente disfagico – Ed. ORLAF&L Luglio 2019

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15. IDDSI. International Dysphagia Diet Standardisation Initiative (IDDSI). Complete IDDSI Framework (Detailed Definitions). 2019.

16. Tatiana Pereira, Sónia Barroso and Maria M. Gil . Review Food Texture Design by 3D Printing: A Review Foods 2021, 10, 320

 

 

 

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