RIABILITAZIONE PEDIATRICA
Robotica e neuroriabilitazione pediatrica
Enrico CASTELLI, Rossana TOGLIA
Dipartimento di Neuroriabilitazione Intensiva e Robotica Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Negli ultimi anni è cresciuto costantemente l’utilizzo delle tecnologie robotiche in ambito riabilitativo, in particolare nel trattamento della disabilità motoria di origine neurologica, sia nell’adulto che nel bambino [1].
La parola ROBOT origina dallo slavo robota, lavoro pesante, e definisce un apparato meccanico ed elettronico in grado di eseguire automaticamente e autonomamente lavorazioni e operazioni ripetitive, o complesse, pesanti e pericolose. Un’altra definizione di robot lo considera un dispositivo meccanico intelligente in grado di eseguire attività autonomamente o con guida remota. Possiamo distinguere robot umanoidi, nano-robot, robot industriali, robot militari, robot chirurgici, robot riabilitativi, etc. Un robot, per essere tale, deve possedere sensori in grado di percepire informazioni dall’ambiente, deve essere dotato di algoritmi di elaborazione e controllo che analizzano queste informazioni e gli fanno decidere autonomamente le risposte da attuare alle sollecitazioni ambientali, poi realizzate grazie all’azione di motori. Possiamo definire il robot riabilitativo un sistema in grado di coadiuvare il terapista nella somministrazione di procedure riabilitative programmabili e personalizzabili, in funzione del tipo di trattamento necessario e delle abilità residue del paziente.
La riabilitazione ha il compito di restituire la funzione persa o, se ciò non fosse possibile, di trovare strategie compensative: per il massimo risultato è sempre necessario inserire il paziente in un ambiente ricco di stimoli, intervenendo precocemente dopo una lesione, impiegando un setting motivante e tecniche atte a migliorare la performance grazie all’attivazione della plasticità neuronale. L’obiettivo principale della riabilitazione pediatrica è quello di aiutare il bambino a raggiungere, in modo armonico, il massimo sviluppo funzionale e relazionale possibile, la migliore autonomia, partecipazione sociale e qualità di vita, compatibilmente con le lesioni presenti. Per perseguire efficacemente tali obiettivi, in età evolutiva, è sempre richiesta la partecipazione dei genitori e di tutta la famiglia del bambino. È indispensabile definire un Progetto Riabilitativo Individuale (PRI), con l’esplicitazione delle diverse aree di intervento, degli obiettivi a breve, medio e lungo termine, dei professionisti coinvolti, dei setting terapeutici più adeguati, dei tempi di realizzazione, delle scale valutative più idonee e, soprattutto, delle tecniche più indicate per quel paziente [2]. Tra queste ultime possiamo considerare anche i robot riabilitativi, strumenti a disposizione del riabilitatore che li inserisce tra le strategie di intervento volte al raggiungimento degli obiettivi definiti nel PRI. Va evitato l’errore di considerare la riabilitazione robotica magicamente efficace di per sé, o sostitutiva del trattamento in palestra. C’è, al contrario, il rischio di far perdere tempo prezioso al paziente, e al terapista, se la riabilitazione robot assistita non viene inserita nella strategia generale di intervento.
La diffusione della riabilitazione robot-assistita è principalmente dovuta a due fattori: la possibilità di erogare trattamenti intensivi e ripetibili e di ottenere valutazioni quantitative oggettive, grazie alla registrazione della performance del paziente da parte del robot, che rendono più semplice monitorarne i progressi. Allo stesso tempo, i dati oggettivi registrati dal robot costituiscono un database confrontabile tra casistiche e patologie, che facilita la ricerca secondo i criteri dell’Evidence Based Rehabilitation. I dispositivi robotici forniscono un feedback di tipo senso-motorio (visivo, acustico, tattile, propriocettivo) che si adatta in tempo reale alla performance del paziente, facilitandone l’autocorrezione, l’apprendimento e conducendolo così a più efficienti modalità di controllo motorio. La ricerca nell’ambito delle neuroscienze ci fornisce indicazioni sulle migliori strategie di attivazione della plasticità neuronale, la capacità del Sistema Nervoso di modificare la sua organizzazione funzionale in risposta alle esperienze, alla base dello sviluppo o del recupero di una funzione persa a seguito di un danno. Essa richiede non solo l’acquisizione di nuove abilità, ma che queste siano motivanti, intensive, ripetitive e con feedback sensoriali che ne permettano l’autocorrezione e l’apprendimento motorio [3; 4; 5; 6]. L’efficacia del robot è correlata proprio alla sua capacità di proporre attività riabilitative che hanno queste caratteristiche, capaci di attivare la plasticità cerebrale.
Il neuroriabilitatore pediatrico spesso deve affrontare bambini demotivati, che rifiutano la riabilitazione. La motivazione è però essenziale per l’apprendimento e, poiché le nuove tecnologie consentono proposte riabilitative accattivanti, il bambino ha così un approccio ludico al trattamento, con benefici effetti sulla sua motivazione e attenzione. Va segnalato che il robot consente anche di dare al bambino disabile l’opportunità di avere esperienze di movimento quasi fisiologiche, altrimenti impossibili per le disabilità presenti, con ulteriore effetto positivo sulla sua motivazione.
Il terapista ha un ruolo fondamentale in questo tipo di trattamento, perché deve adattare il sistema robotico alla conformazione somatica del bambino, deve individuare gli esercizi di training più idonei, settare i vari parametri di interazione del robot con il paziente, per supportarlo al meglio durante l’esercizio terapeutico. In particolare il robot deve supportare il movimento “tanto quanto necessario”, evitando di sostituirsi all’impegno richiesto al paziente o, al contrario, imponendogli un affaticamento eccessivo. Ricordiamo che il trattamento robotico non va considerato un sostituto del trattamento tradizionale, ma una delle varie possibilità di training che possiamo offrire al paziente.
I robot riabilitativi vengono classificati in base alla modalità di contatto con i segmenti corporei del paziente. Distinguiamo end-effector based robot, dove il contatto fra il dispositivo meccanico e il paziente è limitato ad una apposita interfaccia (es. manipolo per l’arto superiore) e gli esoscheletri, dove invece il contatto fra struttura meccanica del robot e il paziente è estesa a tutto il segmento corporeo interessato, ed i gradi di libertà di movimento corrispondono a quelli delle articolazioni. Gli esoscheletri sostanzialmente si indossano. Dal punto di vista funzionale possiamo inoltre differenziare i robot in quelli che sostituiscono funzioni perse o assenti, come gli esoscheletri che consentono il cammino nei soggetti con paraplegia da lesione del midollo spinale, e in quelli che facilitano il recupero o lo sviluppo di una funzione grazie ad un training intensivo che supporta il paziente “tanto quanto necessario”.
In commercio ne esistono diverse tipologie, con caratteristiche diverse; questo rende difficoltosi gli studi multicentrici, in quanto risulta complicato confrontare dati ottenuti con robot riabilitativi diversi. Nonostante l’ampio utilizzo in riabilitazione, la letteratura è ancora povera di studi che ne definiscano i limiti di efficacia, i protocolli di impiego, il numero delle sedute necessarie e la loro durata. Ciò è particolarmente vero per l’età evolutiva.
Come per ogni trattamento, il paziente va attentamente selezionato. Sono considerati prerequisiti per accedere al trattamento robotico un’età superiore ai quattro anni, una buona acuità visiva, senza difetti severi del campo visivo, funzioni cognitive adeguate a comprendere il compito ed a modificare le strategie operative in risposta ai feedback della macchina, in quanto l’esercizio terapeutico non va considerato passivo ma, al contrario, il bambino deve partecipare attivamente al training. Il controllo del capo deve essere stato raggiunto e la motivazione del bambino per questo tipo di trattamento deve essere elevata. Se è presente una spasticità severa, scarsamente riducibile, questa va trattata prima del training robotico. Analogamente deve avvenire per le distonie e discinesie, che potrebbero essere scarsamente controllate dal robot. Non ci devono essere limitazioni dell’escursione articolare o deformità ossee, condizioni che potrebbero causare dolore se sottoposte a intensa mobilizzazione. I bambini con significativi disturbi comportamentali vanno esclusi dal trattamento robotico, in quanto difficilmente tollerano le costrizioni di movimento imposte da questo tipo di training. Vanno esclusi dal trattamento robotico anche i bambini affetti da severa osteoporosi, con fratture recenti o sottoposti nei 3 mesi precedenti a chirurgia ortopedica. Per quanto riguarda i bambini con Paralisi Cerebrale Infantile (PCI), la patologia neurologica più frequente in età pediatrica, il trattamento robotico è soprattutto indicato per i pazienti con livelli II, III or IV della Gross Motor Function Classification System (GMFCS), scala utilizzata per valutare il grado di disabilità motoria del bambino con PCI [7]. L’utilizzo di esoscheletri per i bambini con lesione spinale completa (Figura 1) è invece adeguato per quelli che, oltre a soddisfare i prerequisiti precedenti, hanno un’altezza superiore ai 145 cm, un livello di lesione inferiore a T6, una colonna vertebrale stabile, un buon controllo della pressione arteriosa nel rischio di reazioni disautonomiche. Nell’infanzia al momento l’uso degli esoscheletri è tuttora limitato all’attività di ricerca.
Figura 1 Sistema esoscheletrico per il cammino autonomo (RE-WALK)
Per quanto riguarda la rieducazione del cammino, il sistema robotico più utilizzato è il Lokomat (Figura 2). Esso consiste in un doppio esoscheletro per gli arti inferiori, con articolarità e un motore a livello di anca e ginocchio. Il paziente viene supportato con un sistema di scarico variabile del peso, secondo le sue necessità, e aiutato durante la deambulazione da una forza guida che agisce sulle articolazioni di anca e ginocchio. Il bambino è posto su un tapis roulant che si muove in sincronia con la velocità di deambulazione. Di fronte al paziente è posizionato uno schermo su cui viene replicato da un avatar il movimento effettuato dal bambino, che quindi ha un feedback visuopercettivo della sua performance durante gli esercizi. Questi sono adatti ai bambini e strutturati come video-giochi. Una recente review [8] ha messo in evidenza che il trattamento con il sistema Lokomat in bambini affetti da PCI, è un trattamento efficace, che ne migliora la velocità del passo e l’endurance. I risultati ottimali si ottengono in paziente classificati nei livelli II e III della GMFCS. I training con Lokomat prevedono solitamente 20 sedute, per 5 volte a settimana, con una durata di ogni modulo di circa 45 minuti. Questi successi sono stati confermati da un altro gruppo di ricerca [9], che ha condotto uno studio retrospettivo multicentrico sugli effetti del trattamento con Lokomat in un gruppo di bambini affetti da PCI o da Danno Cerebrale Acquisito (ABI, Acquired Brain Injury). In questo lavoro i migliori risultati sono stati riportati dai bambini affetti da ABI, in particolare quando il training veniva effettuato a breve distanza temporale dall’evento lesivo. In un articolo già citato [7], vengono proposte raccomandazioni per l’impiego del Lokomat, basate non solo su indicazioni generali (età, strutture corporee, capacità cognitive), ma anche sulla gestione del dolore, sull’uso di ortesi o scarpe durante il trattamento, sui livelli della GMFCS e dell’International Classification of Functioning (ICF).
Figura 2 Sistema esoscheletrico per il cammino (LOKOMAT)
Maggiore variabilità in letteratura si trova nell’uso dei sistemi robotici per il recupero dell’arto superiore in età infantile. I sistemi end-effector (Figura 3) chiedono al paziente di muovere il manipolo in base a specifiche richieste del software, con possibilità di spostamenti su due o tre dimensioni dello spazio, e movimenti attivi, attivo-assistito o passivi di spalla, gomito, polso e prono-supinazione dell’avambraccio. Altri sistemi supportano il recupero della motricità fine delle dita o della flesso-estensione delle dita. Tutti sono dotati di software più o meno sofisticati che, attraverso uno schermo video, presentano compiti diversi al paziente secondo la funzione che si vuole recuperare. I software utilizzati in età pediatrica sono sempre impostati in una modalità di gioco, che rende l’attività molto accattivante per il bambino. I pazienti a cui più frequentemente è rivolto questo tipo di sistema sono i pazienti emiplegici. Analizzando la letteratura, rispetto ai sistemi per il cammino, si riscontra una maggiore variabilità della durata di trattamento, del numero delle sedute settimanali, del periodo complessivo di trattamento. Ciò, probabilmente, è dovuto anche alla più ampia disponibilità di questi sistemi in commercio. Tuttavia, anche in questo caso, gli studi mostrano una generale efficacia del trattamento robotico, anche se i dati sono poco uniformi e difficilmente confrontabili [10].
Figura 3 Sistema end-effector per l’arto superiore (IN-MOTION ARM)
Altri sistemi che si stanno diffondendo sono quelli che simulano il movimento del dorso del cavallo (Figura 4). È noto dall’analisi della letteratura che la tridimensionalità degli spostamenti del dorso del cavallo durante il passo produce movimenti nei tre piani dello spazio di tronco e bacino, simili a quello propri della deambulazione. Questi sistemi robotici, che simulano l’ippoterapia, coadiuvati dalle attività proposte dal terapista, forniscono al bambino input sensoriali propriocettivi e vestibolari, ripetuti e intensi, che ne migliorano il controllo del capo e del tronco, la postura seduta, le reazioni di equilibrio, l’uso degli arti superiori. Il robot può effettuare il training anche su un solo piano dello spazio, con la possibilità di regolare ampiezza e frequenza delle oscillazioni. Si tratta, però, di sistemi disponibili da poco e, di conseguenza, con limitati studi di efficacia. Tra i disponibili citiamo una review recente [11] in cui gli autori hanno analizzato la letteratura sull’efficacia del cavallo robotico per il recupero del controllo motorio di tronco e bacino in bambini con disabilità neurologica. L’analisi conferma l’incremento del controllo posturale dopo il trattamento in soggetti affetti da PCI, ma i dati sono ancora esigui e vanno confermati. Nel nostro Dipartimento utilizziamo il cavallo robotico con cicli di 20 sedute, della durata di 45 minuti, per 5 volte a settimana.
Figura 4 Sistema di simulazione dell’ippoterapia (HIROB)
In tutti i casi, indipendentemente dal sistema robotico impiegato, la loro efficacia viene potenziata se, contemporaneamente e per la stessa funzione, viene attuata anche una riabilitazione in palestra.
In conclusione, possiamo affermare che l’uso dei sistemi robotici in neuroriabilitazione pediatrica ha un suo specifico ambito e rappresenta un ottimo supporto nel trattamento dei bambini con disabilità neurologica. Aspetti positivi sono sicuramente la loro capacità di motivare i bambini, perché simili ad attività ludiche e vicini alle loro esperienze quotidiane, in cui l’impiego della tecnologia è sempre più diffusa. L’attività di training robotico, intensiva e ripetitiva, attiva la plasticità neuronale, alla base del recupero. Un altro aspetto positivo è l’assenza in letteratura di significativi effetti collaterali del trattamento robotico, a parte qualche arrossamento cutaneo a livello dei sistemi di tenuta del robot sugli arti del bambino. Tra i limiti della riabilitazione robot-assistita va certamente considerato il costo elevato di questi sistemi, oltre alla necessità di una formazione specifica per terapisti e medici, con conseguente ridotta diffusione nei Servizi Territoriali. In futuro la maggiore disponibilità di studi controllati sulla riabilitazione robot-assistita ci consentirà di capirne meglio l’efficacia, gli specifici ambiti di impiego, i protocolli di training e, in definitiva, il suo ruolo nella strategia terapeutica a favore del bambino.
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