LETTERATURA INTERNAZIONALE
Strumenti di misura della fragilità
Mauro COLOMBO
Fondazione Golgi Cenci, Abbiategrasso (Milano)
m.colombo@golgicenci.it
Scarica in PDFMisura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è
Galileo Galilei
Introduzione
L’invito epistemologico di Galileo si applica opportunamente alla misura della fragilità, visto che almeno negli Stati Uniti stiamo assistendo, dal 1999 al 2018, ad una crescita dei livelli di fragilità, accompagnata da una stabile letalità, in tutti i gruppi di età ed in ambo i sessi. Il mancato raggiungimento della “compressione della morbosità” – previsto 40 anni fa – sta comportando, nel Regno Unito, una spesa di 6 miliardi di sterline all’anno, per fronteggiare le problematiche collegate alla fragilità negli ultra65enni. Eppure, nonostante la possibilità di catturare la fragilità a livello di sistema sia nelle cure primarie che in ospedale – a partire da dati contenuti ordinariamente nelle cartelle elettroniche – neppure oltremanica è stato sinora allestito un registro della fragilità [1].
In prospettiva storica, è curioso seguire l’evoluzione nella adozione stessa del termine “fragilità”, che appare in documenti di politica sanitaria relativa agli anziani nella seconda metà degli anni ’70 [2]. La comparsa del termine nella letteratura scientifica coincide col periodo degli anni della mia scuola di specializzazione in geriatria – gerontologia (1981-85): uno dei padri fondatori della geriatria (J. C. Brocklehurst) lo adopera a proposito della influenza delle deformità scheletriche sulla stabilità posturale; nel lustro successivo il termine “anziano fragile” era ricorso 36 volte in Medline; nel 2020 vengono riportati 1.285 risultati. Ma è significativo che – compiendo oggi tale ricerca – tra i primi risultati appaia una rassegna di due Autori italiani (Proietti e Cesari), intitolata [traducendo]: “La fragilità: cos’è?”, a testimoniare come – al di là di alcuni principi di massima – ancora non esista un accordo definitivo sui meccanismi fisiopatologici sottostanti alla fragilità.
Una simile difficoltà si rispecchia nella numerosità dei sistemi con cui la fragilità viene misurata. Una rassegna ha preso in esame 51 strumenti, sintetizzandone anche sotto forma di utilissime tabelle proprietà quali: il numero di voci coinvolte, i domini della fragilità implicati (fragilità fisica, psicologica, sociale, ambientale), il contesto di impiego [ospedale (e suoi ambiti specifici), comunità, istituzionalizzazione], il sistema di misura (dicotomo, ordinale, continuo) con relativi valori di riferimento (punteggio minimo / massimo), la capacità di individuare la “pre-fragilità” e di predire la mortalità [3].
In questa sede verranno presentati alcuni strumenti di misura, paradigmatici per il modello concettuale cui si rifanno in ambito di Gerontologia Clinica. Il “Fenotipo Fragile” è orientato a rilevare cattive prestazioni funzionali; lo “Indice di Fragilità” (IF / FI nella sigla in inglese) enumera i deficit fisici e psicologici collegati alla salute; strumenti quali l’indice di fragilità di Groningen (GFI) e di Tilburg (TFI) esprimono la multidimensionalità includendo il dominio sociale. In ogni caso, la fragilità si pone come un fenomeno reale, caratteristico dei sistemi biologici complessi.
Il modello fenotipico
La “fragilità fisica” fa tipicamente riferimento al “modello fenotipico”, con i relativi schemi di inquadramento. Nello studio “MOBILIZE” di Boston [4] sono state validate e confrontate 2 versioni di tale modello: quello di Fried & Coll., e quello di Ensrud & Coll., che si può considerare come una versione semplificata del precedente. Il modello di Fried & Coll. prevede 5 componenti: calo ponderale non-intenzionale, ridotta energia auto-riferita, ridotta forza alla stretta manuale, ridotta velocità nel cammino, bassi livelli di energia / attività fisica. Le componenti si riducono a 3 – in parte coincidenti – nel modello di Ensrud & Coll.: calo ponderale non-intenzionale, incapacità ad alzarsi 5 volte da una sedia senza aiutarsi con le braccia, bassi livelli di energia / attività fisica. Le specifiche per le componenti dell’indice di fragilità secondo questo modello fenotipico sono, rispettivamente: calo ponderale non-intenzionale maggiore di 10 libbre (4,5 kg) durante l’anno precedente; ridotta energia: valutata mediante la domanda seguente, derivata dal “Center for Epidemiologic Studies Depression Scale” (“CESD”) – Revisione Hopkins: “durante la scorsa settimana ti è capitato di non riuscire a metterti in moto?”: se la risposta è affermativa per almeno 3 volte, il livello di energia viene assegnato come “ridotto”; debolezza: misurata mediante lo “Short Physical Performance Battery” (SPPB), che comprende: equilibrio in stazione eretta, velocità del cammino a passo consueto x 4 metri, tempo necessario ad alzarsi 5 volte da una sedia senza aiutarsi con le braccia (“Sit to stand”); ridotta velocità nel cammino: derivata dalla Velocità del cammino a passo consueto x 4 metri; bassi livelli di energia / attività fisica: definita come il quintile (20 %) più basso nella scala “PASE” (“Physical Activity Scale for the Elderly”) – somma pesata delle ore impegnate in attività fisica di diverso vigore. Lo SPPB viene stratificato per genere e quartili di Indice di Massa Corporea [BMI]: il quintile
(20 %) più alto nei tempi di “sit to stand” all’interno di ciascun quartile di BMI per entrambi i sessi veniva definito “debole”; viene registrato il Tempo più breve in 2 prove su 2 strati per ciascun sesso: il quintile (20 %) di tempo più alto viene assegnato a “ridotta velocità di cammino”. Lo SPPB da solo offre un gradiente di rischio per istituzionalizzazione e mortalità lungo l’intero suo spettro compreso tra 0 e 12 punti.
Il modello fenotipico consente di categorizzare le persone in 3 classi: i “robusti”, i “pre-fragili” ed i “fragili”; nello schema di Fried & Coll., occorrono rispettivamente: nessuno / 1 o 2 / da 3 a 5 componenti; nello schema di Ensrud, corrispondentemente, nessuno / 1 / 2 o 3 componenti. Concettualmente, il modello fenotipico appare semplice, e compendia anche un elemento soggettivo (la seconda voce); però, la terza e la quarta componente richiedono di conoscerne la distribuzione nella popolazione di riferimento, mentre le componenti IV e V possono risultare di difficile rilevazione nella pratica clinica. Nonostante – al momento della sua elaborazione – i fattori coinvolti fossero fortuitamente disponibili in uno studio concepito per altri scopi [il “Cardiovascular Health Study”], il modello fenotipico è andato incontro a successive validazioni indipendenti, che ne hanno confermato le proprietà biometriche, con particolare riguardo alla validità interna [5]. Tale modello inoltre tiene in conto la non-linearità nel rapporto tra numero di sistemi compromessi e fragilità.
Il modello cumulativo
Un modello alternativo di fragilità fisica particolarmente importante – per contenuto e per frequenza di impiego – si rifà al concetto dello “accumulo di deficit”, concepito a partire da alcune premesse:
- Non tutti i cambiamenti fisiologici associati all’età conducono a malattia.
- Persone molto anziane possono essere assai fragili senza ammalare di malattie mortali.
- I consueti oggetti di attenzione geriatrica sono dotati di buona validità di costrutto e di predittività, ma lasciano inspiegata una ampia quota di varianza rispetto agli esiti sfavorevoli: si pensi per esempio a sindromi geriatriche quali cognitività, mobilità, continenza e funzionalità, riguardo alla istituzionalizzazione.
Perciò è stato concepito un Indice di Fragilità che fosse multi – comprensivo, graduato, sensibile ai cambiamenti, e concettualmente semplice, a partire dalla considerazione probabilistica che più vi sono aspetti mal funzionanti, tanto più un soggetto è fragile [6]. Una conferma empirica deriva dal confronto tra popolazioni domiciliari ed istituzionalizzate, raccolte in sedi e tempi diversi. La sensibilità dinamica ai cambiamenti viene testimoniata dalla capacità di rendere conto anche della possibilità di miglioramento, possibili anche per valori elevati di Indice di Fragilità: sono stati riscontrati in 1/3 del campione, a 5 anni, nel Canadian Study of Health and Aging) [7].
L’Indice di Fragilità comprende sintomi, segni, disabilità e malattie. Le variabili che lo compongono vengono selezionate secondo 5 criteri:
- il deficit deve essere acquisito, e presentare una associazione con lo stato di salute [per cui va esclusa per esempio la canizie]
- Prevalenza dipendente dall’età [con la cautela per quelle condizioni la cui prevalenza cala ad età particolarmente avanzate perché impediscono la sopravvivenza]
- La saturazione della prevalenza non deve essere troppo precoce [per esempio, non viene annoverata la presbiopia, la cui presenza si può considerare universale dopo i 55 anni; non viene annoverata anche la nicturia, benché possegga i requisiti 1-3, perché è troppo frequente (90 % maschi > 75 anni)]
- Come gruppo, i deficit devono coinvolgere vari sistemi [per esempio, non dobbiamo confonderci con un indice di fragilità esclusivamente cognitiva]
- Le voci debbono rimanere le stesse per analisi seriate sulla medesima popolazione, mentre possono variare per confronti tra popolazioni diverseL’indice [cumulativo] di fragilità (IF) si esprime in termini % nella somma di almeno 30 [fino a 70] voci a risposta prevalentemente dicotomica (0 – 1), ad eccezione di alcune voci a risposta graduata. Alle autovalutazioni di salute, ed alle classi di punteggi al Mini Mental State Examination, vengono assegnati punteggi frazionari; ad una serie di altre voci viene assegnato un punteggio intermedio (0,5) in caso di risposta di “sospetto” (per alcune malattie croniche) o di saltuarietà (per esempio, sentirsi depresso, solo, affaticabile). Alcune variabili continue, quali prestazioni fisiologiche (per esempio, spirometriche) e funzionali (per esempio, la forza nella stretta della mano, o la velocità della marcia), o caratteristiche morfometriche (tipo Indice di Massa Corporea) vengono inquadrati secondo soglie predefinite. L’indice è stato validato su una popolazione costituita da 754 ultra70enni non disabili, 2/3 donne, residenti al domicilio, con aspettativa di vita e di residenzialità di almeno 12 mesi, a cognitività sostanzialmente integra (MMSE medio = 26,8, SD = 2,5), seguiti per 18 mesi. Alla valutazione iniziale la maggior parte delle persone ha presentato un IF compreso tra 0 e 0.15, con una velocità di accumulo di circa 0,02 punti per anno di età; 18 mesi dopo, su 681 soggetti della medesima coorte – la cui età era compresa tra 72 e 90 anni, i valori erano più elevati, con velocità di accumulo di circa 0,026 punti per anno di età. La soglia sottomassimale dello IF, “tollerata” dall’estremo più fragile della popolazione, e per la quale non si rileva incremento nel tempo, a prescindere dall’età, si colloca circa a 0,66 [8]. L’Indice di Fragilità ha presentato una stretta associazione con rischio di morte, istituzionalizzazione, peggioramento nello stato di salute. È stato riscontrato un rischio sovrapponibile per valori identici, a prescindere dal numero assoluto delle variabili. Lo IF, che può esprimere la “età biologica”, è in grado di fornire alcune indicazioni preziose, a livello di popolazione, quali:
- Gli uomini accumulano più deficit delle donne
- Qualunque livello di accumulo di deficit è maggiormente letale per gli uomini che per le donne
- A qualsiasi età le femmine sono più fragili dei maschi
- Il tasso di mortalità cresce esponenzialmente con l’età
- La mortalità cresce esponenzialmente con l’accumulo di deficit
- L’accelerazione nell’accumulo dei deficit è caratteristica della fase pre-terminale tra le persone anziane
Confronto fra modello fenotipico e modello cumulativo
L’indice di Fragilità si pone come un “indice di stato” (possibilmente transitorio), che non contraddice lo approccio sindromico: i soggetti classificati “fragili” sindromicamente hanno Indici di Fragilità più elevati. Originariamente, l’Indice di Fragilità poneva il valore 0,2 come soglia tra le persone “robuste” e le “pre-fragili”, inquadrate secondo il modello fenotipico [8]. In seguito, i medesimi autori hanno indicato una tripartizione che è stata ampiamente accettata in letteratura: < 0,08 per i soggetti “robusti”, tra 0,08 e 0,25 per i “pre-fragili”, e > 0,25 per i fragili [9]. Il FI viene valutato favorevolmente per la sua sensibilità nel predire eventi avversi [10]; oltre che per la fine graduazione nella stratificazione del rischio, è apprezzato per l’utilità clinica derivante dalla inclusione dei deficit. Viceversa, ne viene messo in dubbio il vantaggio rispetto alla valutazione geriatrica multidimensionale. Inoltre, ne vengono criticati il rischio di confondere la distinzione rispetto a disabilità e comorbosità, e la scarsa utilità per l’investigazione dei meccanismi e della etiologia della fragilità [11].
Entrambi gli indici sono ampiamente usati in letteratura, dove però lo IF prevale, almeno su PubMed.
L’ Indicatore di Fragilità di Groningen
Gli Autori che lo hanno sviluppato (Peters e Collaboratori) [12] sono partiti dalla constatazione che gli strumenti multidimensionali per la fragilità sono gravati da alcuni svantaggi, che si possono riassumere come segue: 1) possono riguardare popolazioni specifiche (per esempio, persone che risiedono a domicilio); 2) non sempre abbinano una versione redatta da un valutatore professionale ad una auto-compilata; 3) non sempre includono voci riferite alla disabilità, a loro volta predittive di esiti sfavorevoli; 4) non sempre consentono di graduare la fragilità in livelli.
Nel giudizio degli Autori, il Groningen Frailty Indicator (GFI) supera le difficoltà sopra menzionate, per cui viene adoperato in vari contesti (per esempio, centri geriatrici, residenze sanitarie assistenziali, dipartimenti di emergenza, traumatologia, pneumologia, reumatologia, chirurgia), in ambito ambulatoriale, ed in studi clinici.
Il GFI è uno strumento di screening, composto di 15 voci, disponibile in versione sia etero che auto-compilata, in grado di inquadrare il livello di fragilità. Stima la perdita di funzioni e di risorse in 4 domini: fisico (mobilità, comorbosità, esauribilità, vista ed udito), cognitivo (malfunzionamento), sociale (isolamento emotivo), e psicologico (ansia e depressione). Le risposte a tutte le voci sono dicotomiche, con punteggio 1 indicante problema o dipendenza: il punteggio complessivo può variare da 0 a 15. Secondo l’opinione concorde di esperti geriatri, un punteggio uguale o superiore a 4 è indicativo di fragilità da moderata a severa. La soglia discriminante ottimale può variare in ragione del contesto di utilizzo (persone indipendenti piuttosto che istituzionalizzate) e dell’esito sfavorevole in questione. L’indicatore comprende voci pertinenti alla invalidità, stante la contiguità tra fragilità ed invalidità, pur nella consapevolezza della distinzione tra codesti costrutti. Anche la versione autosomministrata – dotata di proprietà biometriche tra l’accettabile ed il soddisfacente – riesce a spiegare una buona quota della variabilità tra persone all’interno di un gruppo. Perciò, anche se non riesce ancora a discriminare adeguatamente i livelli di robustezza, pre-fragilità e fragilità lieve, viene considerato un valido strumento di screening. Uno studio condotto su 353 anziani, residenti in contesti diversi, e comprendente anche soggetti con disabilità significative, ha rivelato come anche persone andate incontro a perdite sostanziali in capacità funzionali abbiano mantenuto discreti livelli di soddisfazione rispetto alla propria vita.
L’Indicatore di Fragilità di Tilburg
L’Indicatore di Fragilità di Tilburg – Tilburg Frailty Indicator (TFI) – consiste in un questionario multidimensionale che affronta gli aspetti fisico, psicologico e sociale della fragilità, rispondendo alla indicazione della Organizzazione Mondiale della Sanità di adottare un approccio olistico all’invecchiamento ed alle relative cure. Sviluppato originariamente per cogliere la fragilità tra persone viventi in comunità, secondo una rassegna relativamente recente [13] è risultato dotato di prove robuste di affidabilità e validità, finendo per essere quello più estensivamente esaminato in termini di proprietà psicometriche, tra 38 strumenti multicomponente (che cioè indagano almeno 2 componenti della fragilità) [14]. Dopo una sezione che riguarda 10 malattie, segue una sezione riferita a 15 voci specifiche per 3 domini della fragilità: 8 voci per la fragilità fisica (salute cagionevole, perdita di peso inspiegabile, difficoltà alla deambulazione ed al mantenimento dell’equilibrio, difficoltà di vista a di udito, perdita di forza nelle mani, sensazione di stanchezza fisica), 4 per la fragilità psicologica (problemi di memoria, umore basso, sensazione di ansia o nervosismo, ed incapacità ad affrontare le difficoltà), e 3 per la fragilità sociale (vivere da soli, mancanza di relazioni sociali e di supporto sociale). 11 voci prevedono risposte dicotomiche (si / no), 4 permettono anche una risposta intermedia (“qualche volta”); il punteggio totale è compreso tra 0 e 15, derivando dalla somma dei punteggi nella componente fisica (da 0 a 8), psicologica (da 0 a 4) e sociale (da 0 a 3).
La validità “di facciata” e di contenuto sono state acquisite mediante reiterati confronti con esperti e con persone anziane. In un campione di 479 ultra75enni olandesi viventi in comunità, la consistenza interna (misurata col coefficiente α di Cronbach) è stata di 0.73 per la fragilità totale, di 0.7 per la componente fisica, di 0.63 per quella psicologica, e di 0,34 per quella sociale. Il basso livello della consistenza interna per il dominio sociale non costituisce un problema, posto che TFI mira a cogliere gli aspetti più importanti e le componenti della fragilità col minor numero possibile di domande. La affidabilità al controllo differito di 1 anno sulla medesima popolazione è stata buona: 0.79 per la fragilità totale, e compresa tra 0.67 e 0.78 per i suoi 3 domini. Anche la validità convergente del TFI è risultata buona, dato che ciascun dominio si è correlato come da aspettative e con significatività statistica con misure corrispondenti. Altrettanto, anche la validità divergente è stata confermata, poiché la correlazione dei singoli domini era più forte con le misure ad essi corrispondenti che con misure relative afferenti ad altri domini, con la eccezione della correlazione tra fragilità fisica e prestazione cognitiva [rilevata col MMSE (Mini Mental State Examination)]. 7 determinanti abbinate di fragilità (età, sesso, stato civile, etnia, scolarità, reddito, residenza) spiegano una discreta parte della fragilità sia totale (20.2%) che fisica (17.9%) e sociale (14.4%), ed una porzione minore (6.7%) della fragilità psicologica. Il sesso maschile, una scolarità ed un reddito più elevati, ed essere sposati erano associati a minore fragilità; l’effetto dell’età era rilevante sulla fragilità totale; la comorbosità media parte dell’effetto dei determinanti indicati prima sulla fragilità totale, fisica e psicologica. La validità predittiva dei punteggi totali, e dei domini, di TFI, così come la sua affidabilità e validità, è stata determinata in parecchi studi sia trasversali che longitudinali, su varie scale temporali, in campioni e nazioni diversi [13,15]. In particolare, ponendo la soglia a 5 punti, la validità predittiva – sia trasversale che longitudinale – rispetto alla disabilità ed alla necessità di cure personali, è risultata eccellente per la combinazione di sensibilità e specificità, con una area sottostante la curva (AUC) > 0,8 [16].
Presso l’Archivio l’Istituzionale Open Access dell’Università di Torino è disponibile una traduzione previo adattamento cross-culturale al contesto italiano del TFI [https://iris.unito.it/handle/2318/1545150#.YMmkir4zbIU].
Scelta dello strumento di misura della fragilità
Stanti le differenze che distinguono gli strumenti di misura, non stupisce quanto discordino su come identificano soggetti fragili. Ricerche che impiegano strumenti diversi non possono venire automaticamente comparate tra di loro. La scelta di uno strumento di misura dipende dallo scopo e dal contesto di utilizzo, compresi il tempo a disposizione, e la qualifica dell’esaminatore. Quando quest’ultimo non è in grado di intervistare od esaminare la persona assistita o studiata, è suggerito uno strumento multidimensionale e di impiego facile e veloce, oltre che valido ed affidabile, quale il Tilburg Frailty Index, anche se non ottimale per prevedere eventi avversi. In ambito domiciliare, codesto strumento può individuare le persone da avviare ad una valutazione di secondo livello. Viceversa, quando le condizioni lo consentono, il sanitario o lo studioso dovrebbero orientarsi verso strumenti più dettagliati: il Frailty Index per esempio – grazie ai suoi almeno 30 indicatori – è maggiormente affidabile e predittivo, e capace di sorvegliare l’esaurimento delle riserve individuali. Un confronto diretto non è stato in grado di risolvere la scelta tra GFI e TFI auto-somministrati [17]. Il modello fenotipico definisce la presenza di situazioni di rischio per eventi avversi, e supporta il clinico nella decisione delle azioni da intraprendere [13]. A fronte di una prevalenza della fragilità stimata tra il 15 ed il 25 %, la Comunità Europea, nell’ambito del progetto Sunfrail, ha proposto uno strumento che, in 10 – 12 minuti, consente di esplorare i 3 domini biologico, psicologico e sociale della salute, dialogando con l’utente. Il questionario è stato concepito per motivare l’operatore ad attivare interventi assistenziali, mediante 9 domande a risposta alternativa si/no, selezionate da questionari già in uso e validati un set di nove domande in grado di generare un’allerta su possibili fattori di rischio ben documentati in letteratura, allo scopo di attivare interventi specifici od ulteriori approfondimenti. Il questionario è già stato adoperato da infermieri del territorio, previa validazione sia linguistica (anche in italiano) che mediante confronto con altri strumenti (tra cui il TIF) [18]. È raccomandabile considerare la fragilità anche in situazioni di acuzie, come testimoniato per esempio dall’esperienza del reparto geriatrico – convertito ad unità Covid – dell’ospedale di Montichiari, in provincia di Brescia. Prendendo come punto di riferimento i 10 giorni dalla ammissione, le persone con fragilità pre-ricovero medio-elevata – indipendentemente dall’età – hanno avuto una sopravvivenza del 25%, a fronte di una permanenza in vita quasi totale per le persone non fragili né comorbide, e del 65% circa per quelle comorbide ma non fragili; la fragilità medio-elevata era quasi costantemente associata alla comorbosità – definita come compresenza di 2 o più patologie croniche. La fragilità è stata adottata come surrogato per la età biologica, raccomandata dalle agenzie per la salute al posto della età cronologica come elemento di cui tenere conto al momento di prendere decisioni anche cruciali. Lo strumento adoperato [una versione a 9 livelli ordinali della Clinical Frailty Scale (CFS)] è stato suggerito dalle linee guida NICE per l’inquadramento dei pazienti anziani con Covid, e di fatto è quella più adottata negli studi al riguardo, anche per la facilità di impiego, specialmente da parte di geriatri esperti. Va detto anche che la CSF è stata validata come predittore di eventi avversi per anziani ospedalizzati, ed è strettamente abbinata alla disabilità: l’utilizzo è immediato, facilitato da brevi didascalie e da vignette che inquadrano ciascun livello di fragilità [19].
Evoluzione negli strumenti di misura
È possibile intravedere una evoluzione del modo di misurare la fragilità, e di utilizzare tali strumenti, almeno in parte collegato alla evoluzione stessa del concetto di fragilità. Quest’ultima rimanda solitamente ad una concezione negativa, di perdita, di dipendenza, di esclusione. Ma è almeno possibile adombrare anche una visione più positiva, di recettività e di resilienza. Se l’invecchiamento consiste in una continua negoziazione tra il senso del sé e delle relazioni con gli altri e con l’ambiente, allora anche gli strumenti di valutazione della fragilità dovrebbero tenere conto: da qui il concetto di fragilità “contesto-dipendente”, testimoniata dalla constatazione che, a parità nei profili di fragilità “intrinseca”, il “bilancio di fragilità” [13] avvertito dalla persona interessata viene spostato in ragione del rapporto del peso tra bisogni e risorse. Non a caso, non poche persone fragili possono riferire benessere psicologico, e godere di una qualità di vita talora persino eccellente. In questa prospettiva si è affacciato alla letteratura il “Frailty Index – 35”, sviluppato per la popolazione anziana cinese [20].
Una altra linea di sviluppo consiste nella analisi del contributo specifico portato alla fragilità dalle singole voci che ne compongono gli indici, e specularmente di come tale contributo dipenda a sua volta dal livello globale di fragilità.
Una ulteriore linea di studio è rivolta ad identificare quale combinazione di marcatori di fragilità predica meglio lo sviluppo di disabilità, ed a determinare il contributo dei marcatori nel migliorare tale capacità predittiva, al di là di età, sesso e numero di malattie croniche. Analizzando 129 combinazioni di 7 marcatori (cognitività, energia, mobilità, umore, nutrizione, attività fisica, forza), rispetto alla capacità ed accuratezza nel predire la incidenza di disabilità, è risultata una modesta capacità prognostica aggiuntiva di tali marcatori. Ma la capacità predittiva sale dal 3 al 9 % quando si passa dalla popolazione generale degli ultra65enni alla classe degli ultra80enni. Simili percentuali possono apparire banali, ma così non è se prendiamo in considerazione la differenza concettuale tra capacità di “spiegare” [a livello di popolazione] e viceversa di “predire” [a livello del singolo]: per esempio, un rapporto di rischio pari a 200 [elevatissimo, nel confronto tra spicchi di una popolazione] si riduce ad una capacità predittiva non superiore al 56 % a livello del singolo individuo. Inoltre, il contributo prognostico aggiuntivo dei marcatori di fragilità ha riguardato ambiti potenzialmente modificabili, in particolare ricorrendo a programmi dedicati a nutrizione ed attività fisica [21].
Fatta salva la necessità di chiarezza epistemologica circa la misura mediante questionari in generale [22], anche la fragilità è entrata nel perimetro di attenzione del mondo digitale: una recente ed esaustiva rassegna di letteratura ha rilevato come i sensori indossabili [tutti basati su accelerometri] siano la tecnologia usata più frequentemente (72 %) per la valutazione trasversale al domicilio della fragilità. Lo 88 % degli studi investigava la fragilità fisica, definita secondo il modello fenotipico di Fried in 3 casi su 4 [23]. Il modello fenotipico di Fried è stato quello più frequentemente usato come riferimento diagnostico in una rassegna sull’uso della tecnologia rispetto a vari risvolti della fragilità, comprendenti anche la prevenzione, la assistenza ed il trattamento [24]. La tecnologia può essere di grande aiuto per monitorare la interazione tra soggetto fragile ed ambiente. Per esempio, basandosi su dati ricavati mediante sensori senza fili, è possibile costruire algoritmi che tracciano periodi di sonno o di scarsa attività, uscite dal domicilio, attività domestiche quali cucinare o pratiche di igiene. Una emblematica esperienza sul campo, condotta con particolare attenzione in Quebec, ha dimostrato l’efficacia di sistemi non-intrusivi di monitoraggio ambientale, che integrati con informazioni mediche, valutazioni cognitive e funzionali – sono stati decisivi nella formulazione di piani di intervento capaci di mantenere al loro domicilio tre persone particolarmente fragili, a rischio palese di auto-trascuratezza, rispettandone l’autonomia decisionale, e soddisfacendone i desideri, anche quando apparentemente bizzarri [25].
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